giovedì 27 gennaio 2011

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here we go (again. and again. and again and again and again)

spostiamo in là la scatola di cornflakes, occhio che va a finire nel frigo rotto, e chi può mai sapere cosa succederà, se finisce nel frigo rotto, un'implosione? il bel sole di oggi splende su tutti i pori di tutti quanti regalando un'allegria intensa, subito spenta dal vento gelido e tagliente. occhio, di là ho visto dei rottami arrugginiti, forse ex macchinari agricoli a riposo.
ne abbiamo parlato a lungo. tutti seduti in cerchio, che fumavamo. lineette grigie si snodavano sonnacchiose fuori dalle braci rosse delle sigarette; se le guardavi potevi agevolmente comprendere l'andamento generale della conversazione. stavamo tutti zitti, e quelle dritte e tranquille quasi fino al soffitto, come fili a piombo, immote. ci agitavamo, ci davamo sulle voci, gesticolavamo infocandoci; ed eccole ingarbugliarsi, appiattirsi legarsi le une con le altre. forse avrei potuto accorgermene da solo, di come andava la conversazione, anche senza fili di fumo, epperò li considero una metafora reale della realtà, molto poetica, dunque ho voluto esprimermi così, l'ho fatto, e voi ora non potete farci nulla. nulla! nulla di nulla.
mi tirano dei paraorecchi laceri sulla nuca. finchè è roba morbida, va bene. sembrano piuttosto
impazienti dinanzi al loro turno, massa di idioti, ma ora tocca a me. una vecchietta scuote la testa, ricominciando a rovistare in un mucchio di bottiglie di plastica vuote.
cosa stavo dicendo?
ah sì.
ecco.
ne abbiamo parlato a lungo tutti insieme seduti in cerchio fumando sfumacchiando. se iniziare altrove, cosa dire, se smettere, se era una pausa. alla fine abbiamo concordato assentendo gravemente, su solo punto: non c'è niente da fare.
che questa cosiddetta pausa, da far ridere i polli. una roba. era semplicemente un giochino perverso, il godimento assatanato dell'attesa, il vedere-quanto-si-riesce-a-tirarla-in-là. avevamo tutti quanti la bava alla bocca, e soprattutto pensavamo. prendevamo un'idea e cominciavamo a tirarcela, uno schiacciasette mortale per la poveretta, alla fine diventava confusa, perdeva i contorni e cominciava ad allargarsi all'infinito, finendo con quel suono deludente che fanno le idee quando si spiaccicano sul pavimento.
mi sa che è meglio se scavalco questo grosso vaso capovolto. forse mi ci siedo sopra, l'aria sembra più respirabile se si danno le spalle ai sacchi neri.
insomma, volevamo solo vedere quanto riuscivamo ad aspettare. a quali livelli riuscivamo a far salire la voglia. vedere quanta potenza abbiamo, nei confronti della voglia. nessuna potenza. totale impotenza. harmless.
e quello lì là in fondo può smetterla di insultare lanciando dixi ammuffite, ho quasi finito.
un'altra concordia, non proprio universalmente condivisa - ricordo voci ribelli: no, c'è bisogno di un inizio vero e proprio, e toccherà a me, guarda caso - stagnava nell'aria con il fumo. se si cominciava, si doveva cominciare a caso; così ci siamo messi tutti in fila, da bravi, e ognuno s'è pigliato il suo numeretto. e a me è toccato l'uno! la fortuna, delle volte.
(i cori di ingiurie provenienti da quelli nascosti nelle lavatrici usate, li ignoro, per stavolta. sostengono di aver preso loro l'uno, si indignano sulla possibilità di brogli. sarà pur vero che io e quella che dava i numerini da un po' ci facciamo gli occhi dolci, ma stabilire un preciso rapporto causale tra questo fatto e il mio numero uno è davvero un'inutile esagerazione vittimista.)
adesso ho finito, perchè è iniziato il lancio di oggetti pesanti. una macchina da scrivere mi sfiora l'orecchio sinistro, siamo pazzi?
un'ultima cosa: gli altri se non ho capito male vogliono proseguire il giochetto dell'attesa, si vogliono gonfiare ben bene prima di sparare fuori le loro storie. non prendetevela con me se il vostro turno sarà lento.

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