sabato 5 febbraio 2011

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lolita

è da un pezzo che lo so, tra poco dovrei avviarmi al lavoro. anzi, a dirla tutta, a dire proprio la verità, dovrei esserci in questo istante, lì a scavare tra i rifiuti; a quanto pare ieri è emersa una vena di latte in polvere.
invece do un altro morso alla mia banana e volto la pagina. quante ore sono che mi dico prossimo capoverso basta, arrivo al punto e basta, finisco la frase e basta?
vado avanti.
era entrata nel mio mondo, nell' umbratile e umorosa Humbertlandia, con impudente curiosità; lo aveva esplorato con un'alzata di spalle di divertito disgusto; e ora mi sembrava pronta a lasciarlo, mossa da qualcosa di molto simile al puro e semplice ribrezzo.
lo stile affascina, ma non bisogna crederci troppo. avevo cominciato 'ada o ardore' sempre ammesso che si chiamasse così, e l'ho dovuto abbandonare nel giro di una trentina di pagine. il prezioso linguaggio e i giochi di parole che si accettano da una mente torbida non te li aspetti in un libro che parla di... di? non ricordo, ero distratta, quel romanzo non mi piaceva.
mentre lolita. oh, lolita.
la prima volta, mi stravolse la mente. maledetta immaginazione impressionabile. finii per fare cose che non volevo fare, arrabbiarmi, enunciare affermazioni trascurabili, ferire gente a caso. sulle menti semplici la parola ha un valore magico - sacrale, pare. e così fu allora, per me; non ero abbastanza sveglia per ingaggiare duello con humbert o con l'autore, mi lasciai convincere, ebbi fiducia.
ritrovarsi in mano questo libro in un giorno di nebbia, di quelli in cui ogni catasta di immondizia sembra nascondere un amico e viceversa, mi è sembrato un dono o una maledizione. l'ho tenuto lì per un po' ci giravo intorno, chiedendomi 'dovrò leggerlo di nuovo, visto com'è andata l'ultima volta?'
la voglia è sempre più forte delle paure.

sarà che la seconda lettura è sempre la migliore, o forse ero più armata di qualche anno fa. ad ogni modo, mi ha preso in un modo diverso, direi migliore. humbert è un abilissimo, astuto avvocato di se stesso, finchè è possibile sa nascondersi. certo, va a finire come va a finire. dopo un tot, non ce la fa più nemmeno lui, a stimarsi, a scusarsi. però prima.
ad aprirmi veramente gli occhi, in questa seconda lettura, è stato il semplice e banale fatto che lolita non parla quasi mai. una decina o una ventina di frasi, sì e no, nell'interezza del testo, il resto - comportamenti, gesti, disperazioni - è filtrato e rielaborato dal narratore tiranno. da lì, è diventato un giallo. si trattava di capire, basandosi sui pochi indizi forniti, cosa fosse in realtà lolita, al di fuori della visione totalizzante di humbert.
non credo di esserci riuscita, a capirla. selvaggia, cinica, innocente, volgare; le parole riportate sono troppo poche per desumere alcunchè di sicuro. in compenso, ho capito il narratore, che è più importante. lui stesso dissemina indizi, la violenza verso la prima moglie, il linguaggio falsamente, sarcasticamente moralista che usa nei dialoghi - oh, anche alla prima volta lo sapevo benissimo pazzo ed errato, tuttavia, rifiutarsi alla seduzione, al rapporto di fiducia che si instaura con chi racconta, risultava troppo difficile.
ed è proprio qui che per me è stato l'insano, infinito godimento estetico dato dal romanzo lolita. nella sfiducia verso il narratore, di continuo contrastata dal fascino dall'alito vivo e convincente delle sue parole. nella rottura del patto letterario, in cui tutti, lettore, narratore, autore - e tutte le altre figurette intermedie, desunte o inventate durante questo secolo di narratologia - dovrebbero avere complice fede in ciò che sanno essere solo menzogna.
qui, all'opposto, tutti diffidano, penso che anche il lettore implicito dovrebbe farlo. si sa che la narrativa è solo una splendida bugia seducente e si cerca, a volte fallendo a volte con successo, di non crederci.
e si gode come porci facendolo. soffrire e amare con il personaggio, e insieme saperlo dittatoriale e colpevole.
sarà una mia impressione.
un'altra cosa meravigliosa di sto libro, la gestione del tempo. l'intreccio di analessi e prolessi sembrerebbe non lasciare nulla all'immaginazione, invece lega tutto in un unico momento della storia, che mi è sembrata accadere così come il pensiero o la memoria, in un unico secondo. e le abilità di nabokov; la scena rallentata descrittivamente della scomparsa di lolita, 'cinematografica' la si potrbbe chiamare, non fosse che nemmeno il cinema potrebbe mai dare un effetto di lentezza e tensione equiparabile.
augh. ho parlato. avanti il prossimo.

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